mercoledì 25 gennaio 2012

Il diario di Taer

Questo testo lo scrivo come BG del mio nuovo personaggio Tare Venderail che giocherò a breve, nell'ambientazione di Dragonlance. E, ovviamente, l'ho voluta scrivere così, in modo narrativo!

Caro Diario,
Lo so, è da un sacco di tempo che non ti scrivo! Quanto sarà… circa sei anni, penso!
Scusami, Diario, ma non mi è stato permesso portarti con me all’accademia. Ma ora posso raccontarti tutto.
Partiamo dall’ultimo giorno in cui ho scritto. Dopo aver vissuto per 10 anni su varie navi mercantili e pescherecci come mozzo, durante l’ultimo viaggio, incontrai Melt. Era un mago… cioè, lo è tuttora. Melt era simpatico e sai che a me, durante i periodi a terra, piaceva divertirmi con gente allegra. Ma lui era diverso. Iniziò a fare giochetti magici che rallegrarono la serata a tutti gli astanti del pub, tanto che bevve per tutta la serata senza mai sganciare una moneta.
Alla fine della serata, gli chiesi come faceva. Volevo impararlo. Mi disse che normalmente sarei stato troppo grande, ma che potevo fare una prova. Rimasi a terra per un periodo più lungo del previsto. Passarono due settimane nelle quali mi insegnò qualche trucchetto. E più trucchi mi insegnava, più mi rendevo conto di quanto mi potessero essere utili in nave.
Dopo le due settimane, Melt mi raccontò che, per diventare un mago, avrei dovuto frequentare un’accademia. Accettai, anche se ciò sarebbe significato stare a terra per anni. Il potere della magia mi aveva ormai soggiogato. Il mare era ancora una parte importante della mia vita, ma la magia era un oceano più grande.

Il giorno dopo aver accettato di entrare in accademia, Melt mi mise davanti una nuova prova. Una pergamena di pelle di agnello, di buona fattura era stesa sulla scrivania. Una boccetta d’inchiostro era aperta su un lato con una penna di aquila all’interno. Mi misi seduto, presi la penna e scrissi sulla pergamena. Due semplici parole: Io, Mago!
Non successe niente. Rimasi a osservare quella scritta per qualche minuto senza che successe niente. Poi mi voltai verso Melt e… non c’era. Mi accorsi di non essere più nello studio del mago, ma in una stanza ricoperta di marmo. E in fondo, seduta su una sedia, c’era una giovane ragazza dai lunghi capelli mori e con un vestito esotico rosso.
Mi avvicinai, curioso e sbalordito. Lei si presentò dicendomi una frase che mi rimarrà nella testa per sempre “Dentro di te scorre il potere del vento, caro Taer! Questo vuol dire che te sei mio!” Non capii subito. Ma poi, quando si presentò, mi fu tutto chiaro. Lei era Lunitari! Sì, è sbalorditivo, vero? Stavo parlando con la luna purpurea delle vesti rosse. Sarei diventato una Veste Rossa.
Rimasi in silenzio! Ci misi un po’ a capire che lei voleva una conferma. Quindi confermai.

Mi ripresi e trovai Melt a guardarmi. Gli raccontai tutto e lui disse che sarei andato all’accademia e che lui sarebbe stato il mio garante. Il giorno dopo, partimmo. Fu un lungo viaggio. Il più lungo che avessi mai fatto via terra. Mi ritrovai in una torre piena di giovani. Io avevo 21 anni, ero il più grande. Molti, alla mia età, uscivano dall’accademia. Io vi entravo.
La cosa mi pesò un po’, ma feci buon viso a cattivo gioco. Ma già dopo il primo anno divenni l’amico di tutti. Eheh, sai come sono fatto. Mi piace fare amicizia e divertirmi.
Gli studi erano pesanti e mi lasciavano poco tempo per fare altro. Non sono uscito da quell’accademia per 6 lunghi anni. Ma ora sono uscito, pronto per fare le mie esperienze. Almeno fino a quando dovrò affrontare la prova dell’alta stregoneria. Allora diventerò una vera veste rossa, se rimarrò vivo.

Beh, rieccomi in pista! Taer il mago, non suona male, no? Meglio di Taer il mozzo. Ora vado. Tra poco ritorno in mare. Ci risentiamo presto.

martedì 6 settembre 2011

Storia di un mezzelfo

Questo piccolo racconto l'ho scritto come Background di un mio personaggio per Pathfinder RPG ambientato nel mondo di Eberron. Come giocatore di ruolo, mi piace farmi il personaggio creando prima la storia ed il carattere e solo poi il valori di gioco. Mi sono divertito, quindi, anche a romanzare la storia del personaggio.
In questo caso, il mio personaggio è un mezzelfo, appartenente ad un famoso casato mercantile di mezzelfi, ma ai piano infimi della stessa. E' un ranger urbano, quindi lo interpreto e gioco come un investigatore vero e proprio.
Nella storia ho voluto spiegare come fa ad essere un Medani (il casato mercantile dei mezzelfi) senza averne i privilegi. Purtroppo il testo è stato fatto come BG e scritto per chi conosce l'ambientazione, quindi, in alcune parti, poco fruibile per non conoscitori. Sono comunque disponibile a sanare qualsiasi dubbio.



«Le leggi dei Casati sono molto severe!» stava spiegando Laren d’Medani. Il carro sul quale viaggiava, l’ultimo della carovana di profughi diretta a Sharn, era occupata solo da tre viaggiatori. Laren da una parte, un signore umano dall’altra e un forgiato silenzioso in fondo. Durante quel viaggio che stava durando ormai da una settimana, il signore ed il mezzelfo avevano parlato molto.
«La famiglia è talmente allargata, che esistono vari esponenti dello stesso Casato, con lo stesso cognome, ma senza alcuna parentela diretta!» spiegava Laren, come rappresentante di uno di quei Casati, quello dei Medani «Questo ha permesso ai Casati, dopo la Guerra del Marchio, a erigere una legge universale: un membro di un Casato può sposarsi solo con un altro membro dello stesso!»
«Ma perché questa decisione?» chiese il signore «Perché se uno di voi si innamora di un’altra persona esterna, deve rinunciare a questo amore?»
«Penso che lei abbia sentito parlare dei Marchi Aberranti?» chiese Laren. Il signore annuì «La Guerra del Marchio aveva portato alla luce questi marchi pericolosi e si è data la colpa agli amori tra membri di Casati differenti! All’inizio, infatti, si decise di evitare solo matrimoni tra Casati diversi, ma il potere è sempre stato l’obiettivo numero uno di ogni Casato. Perciò hanno vietato anche matrimoni con persone esterne per non diluire troppo il “sangue”!»
«E’ una cosa triste, però!» affermò moggio il signore.
«Forse! Ma è anche il motivo del perché sono vivo!» continuò a spiegare Laren «Io sono un Medani, porto il loro cognome, ma non faccio parte del Casato! L’unico modo per me di prendere parte alle decisioni, è sposare una Medani importante. Ma un’esponente importante del Casato, non sposa il primo Medani che incontra! Devo acquisire rispetto e reputazione! Per questo non ero a Sharn durante la fine della guerra!»
«Ah, vero! La mia domanda principale era quella!» disse il signore che si era dimenticato della domanda, preso dal racconti, ma che ora era pieno di rinvigorita curiosità. «Perché un abitante di Sharn si trovava nel Thrane e ora torna a casa in una carovana di profughi?»
«Si, ci stavo arrivando!» disse Laren, visibilmente scocciato dall’interruzione «Come ho detto, il mio obiettivo primario è entrare a far parte dei piani alti del Casato e, per questo, devo farmi una reputazione che mi dia nuova luce davanti agli alti membri! Così, durante la guerra, non essendo stato mandato in guerra, ho iniziato a compiere lavori di investigazione per i privati!
«All’inizio non è stato facile: molti lavori erano banali come “ritrovare una bambina persa nel mercato” o “segui mio marito e scopri se mi tradisce”! Lavori insoddisfacenti, ma che mi hanno creato una clientela tramite il passaparola. Poi ho iniziato con lavori più seri, dal “ritrovare un oggetto rubato” allo spionaggio vero e proprio! Anche con qualche raro caso di lavoro di scorta, attratto dal mio cognome! I lavori erano comunque dati da cittadini normali o medio borghesi.
«Alla fine, 3 anni fa, ho ricevuto il mio primo lavoro importante: ho svolto un lavoro per il Casato Cannith! Non fui ingaggiato direttamente dai membri del Casato, ma fui contattato dai gestori di una loro scuola d’artificio. Il lavoro era di recuperare un artefice traditore fuggito nel Thrane! Lì l’ho scovato dopo un bel po’ di ricerche, ma non trovai un traditore: trovai un giovane artefice che aveva l’unico difetto di venerare una religione poco importante a Sharn. Il ragazzo era un fedele della Fiamma Argentea! E anche un fedele molto devoto, tanto da fuggire da Sharn e andare nel Thrane nel bel mezzo della guerra! Ormai era passato quasi un anno dal mio lavoro, quando ci fu il cataclisma che distrusse il Cyre. Per paura, rimasi lì con il ragazzo e, così, ho scoperto anche io la Fiamma. Sono diventato un loro fedele, anche se non sono così devoto e ligio ai dogmi della religione! E lì ho conosciuto Sentinella!» detto ciò, Laren indicò il forgiato che alzò lievemente la testa, guardando con i suoi spenti occhi rossi il mezzelfo.
«Così, dopo 3 anni, torno a Sharn con la nuova pace sancita dal Trattato! E porto con me un nuovo amico! Torno a casa!» Laren guardò fuori dal carro con aria melanconica.
Dopo un po’ di silenzio solenne, il signore fece una nuova domanda.
«Ma quel ragazzo che cercavi? Che fine ha fatto?»
«Che importanza ha?» rispose scocciato Laren. La sua storia era finita e la teatralità del racconto richiedeva un lungo silenzio carico di malinconia e privo di domande banali. E lui era sempre attento alla teatralità «E’ morto, ma che importa? Sono passati tre anni! Ormai neanche si ricorderanno di avermi dato questo lavoro!» disse alzandosi e affacciandosi sul retro del carro «Si avvicina l’imbrunire e tra poco cercheremo un posto dove accamparci! Scendo e cammino un po’! Vieni Sentinella!» disse saltando giù. Sentinella si alzò dirigendosi verso il retro. Ma si fermò.
«Non è morto!» disse con la sua voce inespressiva. Sentinella era un paladino della Fiamma, incline a non raccontare bugie (a quello ci pensava Laren) e non voleva lasciare quel povero signore con un’idea sbagliata della sua storia «Il mio creatore, il ragazzo che cercava, è ancora vivo! Laren è troppo pieno di se da ammettere di essere stato buono ed aver lasciato libero il ragazzo che ora ha una famiglia e una nuova vita nelle campagne del Thrane! In fondo, come ha detto lui, che importanza ha, ormai?» e detto questo, scese anche il forgiato.

Un incontro lungo un sogno

Questo racconto è preso da un sogno fatto stanotte. Le due canzoni citate nel testo sono Quel posto che non c'è e Lontra brucia dei Negramaro. Canzoni che mi sono venute in mente proprio durante il sogno. Spero che una cosa del genere, mi capiti sul serio... un giorno...








“Ehi! Ehi! Giò!!” la voce di Mauro era imponente, tanto da sovrastare i rumori della piscina dei bambini.
Giovanni era sdraiato sul suo lettino, preso nella lettura di un romanzo. Non si era nemmeno tolto la maglietta. Appena arrivava in piscina, si chiudeva nel suo libro, mentre Mauro e Caterina si divertivano. La coppia era vispa e allegra, ma entrambi conoscevano la situazione di Giovanni: quel viaggio era stato progettato per quattro persone. Due coppie. Numero pari. Non dispari.
Invece, un mese prima della partenza, il numero era passato da quattro a tre. Dopo un periodo cupo, Giovanni si era lasciato. Non volendo dividere la stanza con qualcun altro, partirono solo in tre, ma, in fondo, per Mauro e Caterina era quasi un viaggio in coppia.
“Che c’è?” chiese Giovanni al suo amico con tono scocciato. Mauro era il suo migliore amico, si conoscevano da quando avevano solo quattro anni. Era l’amicizia perfetta: spesso non si sentivano per periodi lunghi, ma, quando si rincontravano, non si accusavano di niente. Anzi, dopo periodi lunghi, avevano solo tante cose da raccontarsi. E, comunque, potevano sempre far affidamento l'uno sull'altro.
“Vieni a fare aquagym?” chiese Mauro. La richiesta aveva un secondo fine, Giovanni l’aveva capito dallo sguardo dell’amico.
“No, sto legg…”
“Vieni sbrigati!” lo interruppe Mauro, prendendolo di forza per un braccio e alzandolo dal lettino. Le persone nei lettini vicini, iniziarono a gustarsi la scena o a sbuffare per il frastuono “E levati anche questa maglietta!” continuò Mauro mentre, come un padre, levò l’indumento all’amico.
“Andiamo, venite!” disse da lontano Caterina, facendo segno con la mano da dentro la piscinetta bassa nella quale si sarebbe svolta la ginnastica acquatica.

In poco tempo, i tre si ritrovarono dentro l’acqua. Mauro e Caterina sorridevano sottecchi tra di loro. Giovanni non si spiegava ancora il perché.
Arrivò l’insegnante di aquagym. Una bella ragazza. Atletica, un bel viso incorniciato da lunghi capelli biondi. Il fisico era sensuale e sinuoso, ben fatto. Gli occhi erano dei fari azzurri. Una bella, bella ragazza… che, però, non suscitò niente in Giovanni.
Le risatine della coppia aumentarono. Giovanni iniziò a pensare che l’avevano portato lì per fargli vedere l’insegnante. Era una bella ragazza, ma non era quello che cercava Giovanni.
“Ehi, ragazzi! Io torno al lettino!” disse, sbattendo la mano sulla spalla di Mauro.
“No, no! Aspetta!” iniziò a dire Mauro, insistente “E’… è che ti volevamo far conoscere una ragazza!”
“Sì, l'ho capito! Ma non mi piace!” disse Giovanni.
“Ma come fai a dirlo se…” Giò non ascoltò le parole di Mauro e si voltò per dirigersi verso le scalette.
STONK!
Girandosi di scatto, quasi ad occhi chiusi, Giovanni non si accorse che, poco dietro di se, vi era qualcun'altro. Cadde un attimo in acqua, ma la piscina era bassa e non si fece troppo male. Si asciugò il viso e aprì gli occhi.
“Ehi, scusa!” disse una voce dolce femminile. Giovanni la guardò. Era una ragazza non tanto alta, con capelli corti neri e due occhi grandi e scuri. Le guance un po’ pronunciate, il corpo non scultorio come l’insegnante… ma furono il viso gentile e lo sguardo dolce che colpirono Giovanni, anche più della botta ricevuta. Il ragazzo rimase a fissarla e lei arrossì.
“Giò, lei è Linda!” disse Mauro, sorridendo.

Più tardi, Giovanni e Linda si ritrovarono (spinti da Caterina e Mauro) sotto la pineta del campeggio. C’erano i giochi per i bambini, ma ora erano vuoti. I due camminavano, scambiando poche timide parole. Giovanni aveva le mani nelle tasche del costume e le spalle alte, mentre linda camminava con le mani raccolte dietro la schiena, guardando in alto.
“Il tuo amico mi ha detto che sei stato lasciato da poco!” disse Linda, rompendo il ghiaccio.
“NO! No… cioè, sì! In realtà sì!” Giovanni era tutto rosso. Per la prima volta non aveva pensato alla sua ex.
“Anche io sono stata lasciata! Ma un bel po’ di tempo fa!” continuò Linda
“Ah, mi dispiace!” riuscì a dire soltanto il ragazzo. Tornò il silenzio. Giovanni aveva tante domande da fare, ma la sua dannata insicurezza lo lasciava muto.
D’un tratto, una musica. Una canzone di un gruppo italiano, molto famoso. Una canzone poco conosciuta di uno dei loro vecchi CD. Una canzone che Giovanni amava tanto… ma a suonarla era il cellulare di Linda. Il ragazzo la guardò, spalancando gli occhi.
“Scusa!” disse lei, mentre tirava fuori il cellulare dalla tasca.
…chi l'avrebbe detto prima che io un giorno sarei andato dietro a te…” Giovanni iniziò a canticchiare la canzone. Studiava canto ed era anche parecchio bravo, ma era troppo timido e non si vantava in giro della sua voce... sbagliando. Non era mai stato il tipo per intraprendere la carriera del cantante famoso. A lui piaceva solo fare musica, suonare, cantare... e, ultimamente, anche insegnare.
Linda rimase sbalordita. Amava quella canzone e Giò la conosceva. In più, la cantava. Rimase incantata dalla voce del ragazzo. Non rispose alla chiamata e lasciò la canzone andare avanti. Voleva continuare a sentirlo. Giovanni chiuse gli occhi e continuò
…e vorrei amarti poi senza, senza nemmeno conoscerti e intanto Londra brucia intorno a noi…
La chiamata terminò. Si alzò un leggero vento e alcune foglie di un faggio lì vicino iniziarono a cadere. Erano lì, insieme. Attorno a loro, le foglie rosse “fuoco” volteggiavano. Si guardavano. E si piacevano. Chi l’avrebbe mai detto? La canzone era capitata nel momento giusto, sbloccando la situazione di imbarazzo. E sbloccando anche i loro pensieri. Entrambi avevano capito: erano degli estranei, ma volevano conoscersi. E la paura di lasciarsi troppo andare, col rischio di soffrire, svanì.
Non era attrazione fisica. Entrambi erano abbastanza sensibili da non cadere sul banale. La loro attrazione era strana, diversa, proveniente da qualcosa di più profondo. La ragazza non era la forse più bella del mondo, ma, in quel momento, per Giò lo era. Lei aveva un’aura di dolcezza che riusciva a sciogliere la sua scorza di timidezza. Anche Linda non era una superficiale, ma la voce del ragazzo le aveva riacceso nell’animo una scintilla ormai spenta da qualche anno.
Non era attrazione fisica. Non era sesso. La loro era voglia di dolcezza reciproca. Voglia di affetto. Voglia di un abbraccio.
Si abbracciarono, mentre una folata di vento li investì. Passò meno di un minuto, ma per loro quella folata e quell’abbraccio durarono un’eternità. Mentre si allentarono la presa, Linda diede d’istinto un bacio sulla guancia di Giovanni. Rimasero abbracciati, guardandosi occhi negli occhi.
…Occhi dentro occhi e prova a dirmi se…” cantò Giovanni. Era un’altra canzone dello stesso gruppo. Linda sorrise. Poi tornarono seri. Ci fu un po’ di silenzio. Silenzio in cui Giovanni pensò a tante domande da farle e tante belle frasi da dirle. Ma non riuscì.
“Vorrei dirti tante cose, ma non ci riesco…” disse, improvvisamente. Linda sorrise, ma non disse niente. Continuarono a guardarsi, occhi negli occhi.
“Ti prego, continua!” chiese lei con un alito di voce.
Con un colpetto di tosse, Giò si schiarì la voce e poi continuò la canzone iniziata prima.
...potessi trattenere il fiato prima di pensare avessi le parole quelle grandi per poterti circondare di quello che di me bellezza in fondo poi non è…
Continuò, cantando tutto il resto della canzone. Sul finale ci fu un’altra folata di vento che investì i ragazzi, quasi accarezzandoli. I due si guardarono negli occhi. Quelli di Linda erano lucidi. Quelli di Giovanni erano persi nell’anima della ragazza. Era un momento magico. Il silenzio che c'era tra loro era riempito dal battito dei loro cuori. Entrambi cedettero. E ci fu un bacio. Non un bacio sensuale, non un bacio con la lingua. Un normale bacio a stampo, labbra contro labbra, bocca contro bocca. Dolce e lungo, a sostituzione di tutte le parole inutili e banali che avrebbero potuto dire. Parole che avrebbero reso sciapo quel momento. Parole che era inutile dire. Soprattutto in quel momento. Soprattutto ora.

E poi mi svegliai…

martedì 2 agosto 2011

Il mondo dei dannati #1

Questa storia la scrissi tempo fa qui sul blog per "pubblicizzare" i vampiri del gioco di ruolo Mondo di Tenebra. Ma la storia che mi era venuta, mi piaceva. Così ho deciso di riprenderla, sistemarla e, perché no, cambiarla! Sto cambiando la storia e, soprattutto, rivedendo le castronerie che avevo scritto sia storicamente, che grammaticamente. Ovviamente, la storia si distacchera da quella scritta tempo fa! Chissa che non ne verrà qualcosa di carino o, comunque, ben accetto!



L'ABBRACCIO
Improvvisamente ripresi i sensi. Mi ritrovai sdraiato su un altare di marmo. La sua superficie era gelida. Lo percepivo, ma non rabbrividivo. La sensazione di freddo era ridondante nella mia testa, eppure risultava una percezione ovattata, quasi lontana. Aprii gli occhi. Come immaginavo, la stanza intorno a me era buia, ma mi sorpresi quando riuscii a distinguere il soffitto e i numerosi drappi di velluto rosso che lo adornavano. Non mi servì guardare, però, per capire che ero nudo. Il contatto della mia carne direttamente con il marmo era palese Nonostante questa mia consapevolezza, non ne ero per niente turbato. Non fraintendetemi, non stavo male senza vestiti. Solo che ero sempre stato un uomo pudico, che odiava anche solo girare nudo per casa dove vivevo da solo.
Mi alzai, perché il piano dov’ero sdraiato e iniziavo a sentire dolori alle spalle. O almeno, sapevo che dovevo provare dolore, ero abituato. Avevo sempre patito grandi dolori di schiena, soprattutto quando dormivo scomodo. Quando fui ormai seduto, mi accorsi di non provare nessun dolore. Solo un eco di quello che una volta era il mio solito dolore.
«Ben ‘risvegliato’, Fratello!» La voce rimbombò nella stanza in modo innaturale. Mi guardai attorno. La stanza era ottagonale, completamente buia. Non vi erano fonti di luce, ne finestre dalla quale potesse filtrare la luce della luna. Eppure vedevo. Vedevo i sette scranni che si trovavano su sette dei lati della stanza, dove vi erano sedute 7 figure incappucciate e ammantate di una lunga tunica. Non feci caso alla cadenza col quale la voce aveva sottolineato la parola “risvegliato”. Me ne accorsi solo più avanti.
«Alzati!» ordinò gentilmente una voce femminile. Lo feci. Mi ritrovai lì, completamente nudo, con 7 sconosciuti fermi a fissarmi nel buio. Sapevo che riuscivano a guardarmi come ci riuscivo io. Sapevo che riuscivano a fendere le tenebre con i loro sguardi, proprio come potevo fare io.
«Sento freddo!» dissi! Era vero! Non sentivo di certo il freddo che può sentire un mortale! La mia era più una percezione del freddo, della quale rimanevo distaccato ed indifferente. Una delle figure incappucciate si alzò. Aveva in mano dei vestiti: un paio di jeans e una maglietta viola con scritte nere. Mi parve di riconoscerle, ma non rimasi a chiedermi il perché. Li indossai e basta.
Una volta vestito, vi furono alcuni minuti di silenzio innaturale. I sette individui mi guardavano e io guardavo loro!
«Qualcuno si prende la briga di dirmi chi sono e cosa sta succedendo?» chiesi scocciato. Quella situazione mi innervosiva. In più, stavo diventando conscio di non ricordare chi fossi. E la cosa aggiungeva inquietudine al mio nervosismo. Sentii i sette parlottare, come se fossero sorpresi nel sapere che non sapevo chi fossi.
«Davvero non ricordi chi sei?» mi chiese una voce maschile più roca della solita.
«Ehi, secondo voi ve l’avrei chiesto se lo sapessi?» chiesi scorbuticamente in tutta risposta «Perché sono qua? Chi siete voi? E che mi avete fatto?» quest’ultima domanda non fu tanto strana. Pur non sapendo cosa facessi là, sapevo di non essere normale. Sapevo che mi era successo cosa. Solo che non mi era chiaro cosa fosse.
«Sei stato Abbracciato dalla nostra comunità!» Questa volta notai il tono che soppesava la parola abbracciato.
«Che significa?» continuai a chiedere.
«Significa che sei morto!» disse uno dei sette, alzandosi e portando indietro il cappuccio. Era un uomo sulla quarantina. Probabilmente di origine ispanica, vista la carnagione scura e i lineamenti. Ma nonostante il colore scuro, la sua pelle sembrava fatta di chiaro marmo ed emanava un’aura di bellezza strana. I capelli erano lunghi dietro la schiena e sembravano fatti di seta pura. Ma la particolarità maggiore era degli occhi: avevano una forma innaturale, aliena. La pupilla era grande, l’iride era di un colore quasi fluorescente con lineamenti neri sull’esterno. Ma soprattutto, sembravano scrutarti all’interno e spulciare la tua anima. L’uomo si avvicinò lentamente. La cadenza era costante, quasi come se si avvicinasse fluttuando. La sua aura di misticismo mi trattenne di fare altre osservazioni pungenti e mi fece capire che quel ce diceva non era falso. Ma come potevo essere morto?
«Sei morto nel corpo, ma vivo nell’anima! Un’anima dannata ormai, come lo è la mia e quella di tutti i presenti!» l’uomo indicò i presenti. Poi continuò a fissarmi con l’aria impassibile. Feci altrettanto «Per te è iniziato un requiem che suonerà in eterno! Benvenuto fra noi Fratello Vampiro!»

martedì 26 luglio 2011

Swimmin' Story

Con i mondiali di nuoto in tv, vedendo le gare e i nuotatori, mi sono immaginato cosa potessero provare! L'ho immaginato e l'ho scritto! Magari non è così, o magari è così! Ma ho voluto immaginare cosa possa provare un nuotatore al suo primo mondiale! Magari uno dotato, una promessa! Spero piaccia!




«..alla corsia 4, Michele Felpi!»
La chiamata fu seguita da un piccolo coro festante! Erano i compagni di squadra che lo inneggiavano. Michele si affacciò titubante. Gli spalti intorno alla piscina erano gremiti di persone. Erano le gare mondiali del nuoto e molti andavano alla piscina olimpica a guardare i beniamini delle varie nazioni, nuotare in quella vasca di acqua e cloro. Otto bei ragazzi, degli adoni, si fronteggiavano a suon di bracciate, per vedere chi tra di loro era il più veloce a nuotare in stile libero nella distanza di 200 metri.
Michele era al primo mondiale! Erano ormai quasi 20 anni che si allenava per questa occasione! I suoi compagni l’avevano caricato al meglio. “Sei il più forte” o “Fai vedere chi sei” erano le frasi che i suoi compagni gli avevano detto.
Il giorno prima c’erano state le semifinali. Una gara mozzafiato, nonostante nessuna gara fosse stata messa in palio. Michele aveva fronteggiato il campione mondiale in carica, l’americano Jhon Swim. Non serviva vincere: sarebbero passati i primi 8 tempi, quindi bastava fare abbastanza da poter passare. Ma non si può dire a due nuotatori di fare il minimo e di non provare a battersi. Nessuno dei due spinse al massimo, ma entrambi cercarono di vincere. La spuntò Swim, ma di poco.
Oggi c’erano le finali. Michele era in 4 corsia, una corsia privilegiata, di solito data a uno dei favoriti. Le corsie centrali erano le migliori, perché permettevano al nuotatore di controllare gli avversari. Michele si avvicinò alla sedia messa davanti alla sua corsia. Iniziò a svestirsi, togliendosi la maglietta e le cuffiette collegate all’iPod che trasmetteva alla sua testa una musica rilassante e porta fortuna. Intanto, nella corsia 5, si posizionò Swim. L’americano era più sicuro di se: campione del mondo in carica, era anche una persona sicura e decisa. Michele era più un introverso, ma quando entrava in acqua diventava uno squalo.
L’acqua, la libertà del nuoto. Ogni bracciata era un passo verso il proprio Eden, il proprio Nirvana. Quando nuotava, Michele si sentiva isolato e libero di pensare ciò che voleva. I rumori fuori erano attutiti dall’acqua e dallo scrosciare delle sue bracciate. Amava poi nuotare in piscine completamente vuote, sotto il solo occhio vigile della sua istruttrice Magda Pollock, ragazza italo americana, ex giovane nuotatrice prodigio, che smise a causa di problemi di cuore. Magda lasciava Michele nuotare come voleva, dando solo il suo piano di allenamento. Michele lo svolgeva senza problemi, senza discutere, conscio che Magda aveva le idee ben chiare.
Si era allenato per due anni, nei quali aveva distrutto i record nazionali durante le qualificazioni italiane per i mondiali. Era uscito fuori dalla massa come “nuova promessa”, rendendo felice se stesso, Magda, i suoi amici e parenti e gran parte degli italiani. Ora eccolo lì, affianco al campione, in vasche estere, con i più forti del mondo.
Tutti i nuotatori si posizionarono sulle pedane, pronti al tuffo. Il cuore di Michele iniziò a battere forte. Quello era il momento che più lo metteva in soggezione: l’attesa della partenza. Prima si doveva preparare e concentrare, poi doveva solo nuotare. In quel momento, la sua testa entrava nel caos. Il suo più grande problema era l’emotività.
Bang!
Finalmente la partenza! L’impatto con l’acqua era un ottima sensazione: voleva dire che ora si doveva dare il massimo. Non pensare più a niente, se non alle parole di Magda
«Ad ogni bracciata, pensa che di fronte a te ci sia un gelato, che tu devi raggiungere! Allunga le bracciate, prendi il tuo ritmo!»
Il ritmo! Segnato da una canzone che gli iniziò a rimbombare nella testa. Una di quelle canzoni che ascoltava prima di ogni canzone. Una canzone ritmata, con una batteria veloce ed un tempo andante.
Bracciata, bracciata. Testa fuori per prendere aria e di nuovo sott’acqua. Ogni tanto il rumore del pubblico urlante arrivava alle orecchie di Michele, ma non ci faceva caso. Aveva la sua canzone in testa.
La virata rapida e un’occhiata agli avversari. Erano ai 50 metri ed erano ancora tutti vicini. Swim, però, era quello leggermente più avanti. Bene, andava bene così.
Bracciata, respiro, bracciata, respiro. I piedi che battevano dietro, nell’acqua, formando schizzi e schiuma. Ogni bracciata che tagliava il pelo dell’acqua come un coltello. Di nuovo il muretto. Di nuovo una virata. La spinta con i piedi e un po’ di calci sott’acqua. Usciti di nuovo, un occhiata agli avversari. Swim era più avanti, ma Michele era lì, alle sue spalle.
Ancora bracciate, con una cadenza ora incostante. La stanchezza iniziava a farsi sentire. Me bracciate furono più lente, meno cadenzate. La canzone nella testa diventava più lenta.
Ultima virata, ultima vasca. Swim era davanti. Altri si stavano avvicinando a Michele. Ormai sembrava una disfatta! Ma una voce nella testa dell’italiano rimbombò. La voce di Magda!
«…e ricorda: è l’ultima vasca che conta! Se gli altri ti sono davanti prima, meglio! L’importante è portarseli dietro all’ultima vasca! Guarda la fine, non pensare agli altri! Pensa solo a raggiungere il prima possibile l’altra parte della vasca!»
L’ultima vasca! Ultima di una gara importante! Un mondiale! Un oro alla propria portata! Un oro mondiale! Questi pensieri diedero forza a Michele. Le bracciate divennero più veloci, più cadenzate, più ritmate. I piedi iniziarono a battere più velocemente. Il muro si avvicinava sempre più velocemente! Era primo? Secondo? Terzo? Ultimo? Non importava! Importava solo raggiungere quel muretto prima possibile. Il tocco! La fine! Come era andata era andata!
Michele uscì dall’acqua. Sentì un boato nel palazzetto del nuoto. Intorno tutti gli altri erano arrivati, ma non sapeva l’ordine! Alzò gli occhi, verso il tabellone!
1° Jhon Swim
Non ce l’aveva fatta!
1° Michele Felpi
«Che è successo?» disse ad alto volume, senza accorgersene.
«Siamo arrivati insieme!» rispose Swim, in un italiano stentato. «Sei stato very good, ragazzo!»
Michele si avvicinò a Jhon! Era il suo avversario, ma era un amante del nuoto, come lui. Si strinsero la mano! Un oro mondiale! Condiviso col più forte del mondo! Forse era questo l’epilogo migliore!