martedì 6 settembre 2011

Storia di un mezzelfo

Questo piccolo racconto l'ho scritto come Background di un mio personaggio per Pathfinder RPG ambientato nel mondo di Eberron. Come giocatore di ruolo, mi piace farmi il personaggio creando prima la storia ed il carattere e solo poi il valori di gioco. Mi sono divertito, quindi, anche a romanzare la storia del personaggio.
In questo caso, il mio personaggio è un mezzelfo, appartenente ad un famoso casato mercantile di mezzelfi, ma ai piano infimi della stessa. E' un ranger urbano, quindi lo interpreto e gioco come un investigatore vero e proprio.
Nella storia ho voluto spiegare come fa ad essere un Medani (il casato mercantile dei mezzelfi) senza averne i privilegi. Purtroppo il testo è stato fatto come BG e scritto per chi conosce l'ambientazione, quindi, in alcune parti, poco fruibile per non conoscitori. Sono comunque disponibile a sanare qualsiasi dubbio.



«Le leggi dei Casati sono molto severe!» stava spiegando Laren d’Medani. Il carro sul quale viaggiava, l’ultimo della carovana di profughi diretta a Sharn, era occupata solo da tre viaggiatori. Laren da una parte, un signore umano dall’altra e un forgiato silenzioso in fondo. Durante quel viaggio che stava durando ormai da una settimana, il signore ed il mezzelfo avevano parlato molto.
«La famiglia è talmente allargata, che esistono vari esponenti dello stesso Casato, con lo stesso cognome, ma senza alcuna parentela diretta!» spiegava Laren, come rappresentante di uno di quei Casati, quello dei Medani «Questo ha permesso ai Casati, dopo la Guerra del Marchio, a erigere una legge universale: un membro di un Casato può sposarsi solo con un altro membro dello stesso!»
«Ma perché questa decisione?» chiese il signore «Perché se uno di voi si innamora di un’altra persona esterna, deve rinunciare a questo amore?»
«Penso che lei abbia sentito parlare dei Marchi Aberranti?» chiese Laren. Il signore annuì «La Guerra del Marchio aveva portato alla luce questi marchi pericolosi e si è data la colpa agli amori tra membri di Casati differenti! All’inizio, infatti, si decise di evitare solo matrimoni tra Casati diversi, ma il potere è sempre stato l’obiettivo numero uno di ogni Casato. Perciò hanno vietato anche matrimoni con persone esterne per non diluire troppo il “sangue”!»
«E’ una cosa triste, però!» affermò moggio il signore.
«Forse! Ma è anche il motivo del perché sono vivo!» continuò a spiegare Laren «Io sono un Medani, porto il loro cognome, ma non faccio parte del Casato! L’unico modo per me di prendere parte alle decisioni, è sposare una Medani importante. Ma un’esponente importante del Casato, non sposa il primo Medani che incontra! Devo acquisire rispetto e reputazione! Per questo non ero a Sharn durante la fine della guerra!»
«Ah, vero! La mia domanda principale era quella!» disse il signore che si era dimenticato della domanda, preso dal racconti, ma che ora era pieno di rinvigorita curiosità. «Perché un abitante di Sharn si trovava nel Thrane e ora torna a casa in una carovana di profughi?»
«Si, ci stavo arrivando!» disse Laren, visibilmente scocciato dall’interruzione «Come ho detto, il mio obiettivo primario è entrare a far parte dei piani alti del Casato e, per questo, devo farmi una reputazione che mi dia nuova luce davanti agli alti membri! Così, durante la guerra, non essendo stato mandato in guerra, ho iniziato a compiere lavori di investigazione per i privati!
«All’inizio non è stato facile: molti lavori erano banali come “ritrovare una bambina persa nel mercato” o “segui mio marito e scopri se mi tradisce”! Lavori insoddisfacenti, ma che mi hanno creato una clientela tramite il passaparola. Poi ho iniziato con lavori più seri, dal “ritrovare un oggetto rubato” allo spionaggio vero e proprio! Anche con qualche raro caso di lavoro di scorta, attratto dal mio cognome! I lavori erano comunque dati da cittadini normali o medio borghesi.
«Alla fine, 3 anni fa, ho ricevuto il mio primo lavoro importante: ho svolto un lavoro per il Casato Cannith! Non fui ingaggiato direttamente dai membri del Casato, ma fui contattato dai gestori di una loro scuola d’artificio. Il lavoro era di recuperare un artefice traditore fuggito nel Thrane! Lì l’ho scovato dopo un bel po’ di ricerche, ma non trovai un traditore: trovai un giovane artefice che aveva l’unico difetto di venerare una religione poco importante a Sharn. Il ragazzo era un fedele della Fiamma Argentea! E anche un fedele molto devoto, tanto da fuggire da Sharn e andare nel Thrane nel bel mezzo della guerra! Ormai era passato quasi un anno dal mio lavoro, quando ci fu il cataclisma che distrusse il Cyre. Per paura, rimasi lì con il ragazzo e, così, ho scoperto anche io la Fiamma. Sono diventato un loro fedele, anche se non sono così devoto e ligio ai dogmi della religione! E lì ho conosciuto Sentinella!» detto ciò, Laren indicò il forgiato che alzò lievemente la testa, guardando con i suoi spenti occhi rossi il mezzelfo.
«Così, dopo 3 anni, torno a Sharn con la nuova pace sancita dal Trattato! E porto con me un nuovo amico! Torno a casa!» Laren guardò fuori dal carro con aria melanconica.
Dopo un po’ di silenzio solenne, il signore fece una nuova domanda.
«Ma quel ragazzo che cercavi? Che fine ha fatto?»
«Che importanza ha?» rispose scocciato Laren. La sua storia era finita e la teatralità del racconto richiedeva un lungo silenzio carico di malinconia e privo di domande banali. E lui era sempre attento alla teatralità «E’ morto, ma che importa? Sono passati tre anni! Ormai neanche si ricorderanno di avermi dato questo lavoro!» disse alzandosi e affacciandosi sul retro del carro «Si avvicina l’imbrunire e tra poco cercheremo un posto dove accamparci! Scendo e cammino un po’! Vieni Sentinella!» disse saltando giù. Sentinella si alzò dirigendosi verso il retro. Ma si fermò.
«Non è morto!» disse con la sua voce inespressiva. Sentinella era un paladino della Fiamma, incline a non raccontare bugie (a quello ci pensava Laren) e non voleva lasciare quel povero signore con un’idea sbagliata della sua storia «Il mio creatore, il ragazzo che cercava, è ancora vivo! Laren è troppo pieno di se da ammettere di essere stato buono ed aver lasciato libero il ragazzo che ora ha una famiglia e una nuova vita nelle campagne del Thrane! In fondo, come ha detto lui, che importanza ha, ormai?» e detto questo, scese anche il forgiato.

Un incontro lungo un sogno

Questo racconto è preso da un sogno fatto stanotte. Le due canzoni citate nel testo sono Quel posto che non c'è e Lontra brucia dei Negramaro. Canzoni che mi sono venute in mente proprio durante il sogno. Spero che una cosa del genere, mi capiti sul serio... un giorno...








“Ehi! Ehi! Giò!!” la voce di Mauro era imponente, tanto da sovrastare i rumori della piscina dei bambini.
Giovanni era sdraiato sul suo lettino, preso nella lettura di un romanzo. Non si era nemmeno tolto la maglietta. Appena arrivava in piscina, si chiudeva nel suo libro, mentre Mauro e Caterina si divertivano. La coppia era vispa e allegra, ma entrambi conoscevano la situazione di Giovanni: quel viaggio era stato progettato per quattro persone. Due coppie. Numero pari. Non dispari.
Invece, un mese prima della partenza, il numero era passato da quattro a tre. Dopo un periodo cupo, Giovanni si era lasciato. Non volendo dividere la stanza con qualcun altro, partirono solo in tre, ma, in fondo, per Mauro e Caterina era quasi un viaggio in coppia.
“Che c’è?” chiese Giovanni al suo amico con tono scocciato. Mauro era il suo migliore amico, si conoscevano da quando avevano solo quattro anni. Era l’amicizia perfetta: spesso non si sentivano per periodi lunghi, ma, quando si rincontravano, non si accusavano di niente. Anzi, dopo periodi lunghi, avevano solo tante cose da raccontarsi. E, comunque, potevano sempre far affidamento l'uno sull'altro.
“Vieni a fare aquagym?” chiese Mauro. La richiesta aveva un secondo fine, Giovanni l’aveva capito dallo sguardo dell’amico.
“No, sto legg…”
“Vieni sbrigati!” lo interruppe Mauro, prendendolo di forza per un braccio e alzandolo dal lettino. Le persone nei lettini vicini, iniziarono a gustarsi la scena o a sbuffare per il frastuono “E levati anche questa maglietta!” continuò Mauro mentre, come un padre, levò l’indumento all’amico.
“Andiamo, venite!” disse da lontano Caterina, facendo segno con la mano da dentro la piscinetta bassa nella quale si sarebbe svolta la ginnastica acquatica.

In poco tempo, i tre si ritrovarono dentro l’acqua. Mauro e Caterina sorridevano sottecchi tra di loro. Giovanni non si spiegava ancora il perché.
Arrivò l’insegnante di aquagym. Una bella ragazza. Atletica, un bel viso incorniciato da lunghi capelli biondi. Il fisico era sensuale e sinuoso, ben fatto. Gli occhi erano dei fari azzurri. Una bella, bella ragazza… che, però, non suscitò niente in Giovanni.
Le risatine della coppia aumentarono. Giovanni iniziò a pensare che l’avevano portato lì per fargli vedere l’insegnante. Era una bella ragazza, ma non era quello che cercava Giovanni.
“Ehi, ragazzi! Io torno al lettino!” disse, sbattendo la mano sulla spalla di Mauro.
“No, no! Aspetta!” iniziò a dire Mauro, insistente “E’… è che ti volevamo far conoscere una ragazza!”
“Sì, l'ho capito! Ma non mi piace!” disse Giovanni.
“Ma come fai a dirlo se…” Giò non ascoltò le parole di Mauro e si voltò per dirigersi verso le scalette.
STONK!
Girandosi di scatto, quasi ad occhi chiusi, Giovanni non si accorse che, poco dietro di se, vi era qualcun'altro. Cadde un attimo in acqua, ma la piscina era bassa e non si fece troppo male. Si asciugò il viso e aprì gli occhi.
“Ehi, scusa!” disse una voce dolce femminile. Giovanni la guardò. Era una ragazza non tanto alta, con capelli corti neri e due occhi grandi e scuri. Le guance un po’ pronunciate, il corpo non scultorio come l’insegnante… ma furono il viso gentile e lo sguardo dolce che colpirono Giovanni, anche più della botta ricevuta. Il ragazzo rimase a fissarla e lei arrossì.
“Giò, lei è Linda!” disse Mauro, sorridendo.

Più tardi, Giovanni e Linda si ritrovarono (spinti da Caterina e Mauro) sotto la pineta del campeggio. C’erano i giochi per i bambini, ma ora erano vuoti. I due camminavano, scambiando poche timide parole. Giovanni aveva le mani nelle tasche del costume e le spalle alte, mentre linda camminava con le mani raccolte dietro la schiena, guardando in alto.
“Il tuo amico mi ha detto che sei stato lasciato da poco!” disse Linda, rompendo il ghiaccio.
“NO! No… cioè, sì! In realtà sì!” Giovanni era tutto rosso. Per la prima volta non aveva pensato alla sua ex.
“Anche io sono stata lasciata! Ma un bel po’ di tempo fa!” continuò Linda
“Ah, mi dispiace!” riuscì a dire soltanto il ragazzo. Tornò il silenzio. Giovanni aveva tante domande da fare, ma la sua dannata insicurezza lo lasciava muto.
D’un tratto, una musica. Una canzone di un gruppo italiano, molto famoso. Una canzone poco conosciuta di uno dei loro vecchi CD. Una canzone che Giovanni amava tanto… ma a suonarla era il cellulare di Linda. Il ragazzo la guardò, spalancando gli occhi.
“Scusa!” disse lei, mentre tirava fuori il cellulare dalla tasca.
…chi l'avrebbe detto prima che io un giorno sarei andato dietro a te…” Giovanni iniziò a canticchiare la canzone. Studiava canto ed era anche parecchio bravo, ma era troppo timido e non si vantava in giro della sua voce... sbagliando. Non era mai stato il tipo per intraprendere la carriera del cantante famoso. A lui piaceva solo fare musica, suonare, cantare... e, ultimamente, anche insegnare.
Linda rimase sbalordita. Amava quella canzone e Giò la conosceva. In più, la cantava. Rimase incantata dalla voce del ragazzo. Non rispose alla chiamata e lasciò la canzone andare avanti. Voleva continuare a sentirlo. Giovanni chiuse gli occhi e continuò
…e vorrei amarti poi senza, senza nemmeno conoscerti e intanto Londra brucia intorno a noi…
La chiamata terminò. Si alzò un leggero vento e alcune foglie di un faggio lì vicino iniziarono a cadere. Erano lì, insieme. Attorno a loro, le foglie rosse “fuoco” volteggiavano. Si guardavano. E si piacevano. Chi l’avrebbe mai detto? La canzone era capitata nel momento giusto, sbloccando la situazione di imbarazzo. E sbloccando anche i loro pensieri. Entrambi avevano capito: erano degli estranei, ma volevano conoscersi. E la paura di lasciarsi troppo andare, col rischio di soffrire, svanì.
Non era attrazione fisica. Entrambi erano abbastanza sensibili da non cadere sul banale. La loro attrazione era strana, diversa, proveniente da qualcosa di più profondo. La ragazza non era la forse più bella del mondo, ma, in quel momento, per Giò lo era. Lei aveva un’aura di dolcezza che riusciva a sciogliere la sua scorza di timidezza. Anche Linda non era una superficiale, ma la voce del ragazzo le aveva riacceso nell’animo una scintilla ormai spenta da qualche anno.
Non era attrazione fisica. Non era sesso. La loro era voglia di dolcezza reciproca. Voglia di affetto. Voglia di un abbraccio.
Si abbracciarono, mentre una folata di vento li investì. Passò meno di un minuto, ma per loro quella folata e quell’abbraccio durarono un’eternità. Mentre si allentarono la presa, Linda diede d’istinto un bacio sulla guancia di Giovanni. Rimasero abbracciati, guardandosi occhi negli occhi.
…Occhi dentro occhi e prova a dirmi se…” cantò Giovanni. Era un’altra canzone dello stesso gruppo. Linda sorrise. Poi tornarono seri. Ci fu un po’ di silenzio. Silenzio in cui Giovanni pensò a tante domande da farle e tante belle frasi da dirle. Ma non riuscì.
“Vorrei dirti tante cose, ma non ci riesco…” disse, improvvisamente. Linda sorrise, ma non disse niente. Continuarono a guardarsi, occhi negli occhi.
“Ti prego, continua!” chiese lei con un alito di voce.
Con un colpetto di tosse, Giò si schiarì la voce e poi continuò la canzone iniziata prima.
...potessi trattenere il fiato prima di pensare avessi le parole quelle grandi per poterti circondare di quello che di me bellezza in fondo poi non è…
Continuò, cantando tutto il resto della canzone. Sul finale ci fu un’altra folata di vento che investì i ragazzi, quasi accarezzandoli. I due si guardarono negli occhi. Quelli di Linda erano lucidi. Quelli di Giovanni erano persi nell’anima della ragazza. Era un momento magico. Il silenzio che c'era tra loro era riempito dal battito dei loro cuori. Entrambi cedettero. E ci fu un bacio. Non un bacio sensuale, non un bacio con la lingua. Un normale bacio a stampo, labbra contro labbra, bocca contro bocca. Dolce e lungo, a sostituzione di tutte le parole inutili e banali che avrebbero potuto dire. Parole che avrebbero reso sciapo quel momento. Parole che era inutile dire. Soprattutto in quel momento. Soprattutto ora.

E poi mi svegliai…